mercoledì 22 marzo 2017

Ciao Fernando!



Due giorni fa ho appreso della morte improvvisa, stroncato da un infarto, all’età di 77 anni, di Fernando Bettin.

A molti questo nome non dirà assolutamente nulla,soprattutto quando le notizie viaggiano nel mare dei social network, ma per i miei compaesani in Italia, in Veneto, tra Padova e Venezia, Fernando ha rappresentato la quint’essenza di un lavoratore instancabile. Svolgeva, come prosegue oggi l’attività il figlio, il mestiere di idraulico, ma smessi gli abiti da lavoro, ci stava una persona amante della famiglia, della moglie  e del figlio, Enrico, mio fraterno amico fin dall’infanzia. Ci stava l’amante dello sport.  Seguiva il calcio dilettantistico come dirigente sportivo, nella squadra del paese.

Ieri sera, parlando via WhatsApp, con una persona di cui non rivelerò il nome, ma solo il soprannome. Soprannome dato non so o non ricordo manco per quale motivo, CiQu, costui mi ha ricordato i suoi anni come giocatore di calco amatoriale, le “sgridate” bonarie e amichevoli di Fernando, l’essere una presenza fissa e costante, vicino a giovani, per farli crescere nell’amore dello sport e della sana competizione e nel rispetto reciproco, dentro e fuori il campo di calcio, nel campo della vita.

Ma Fernando non era solo questo. Era un donatore di sangue, impegnato nel sociale, medaglia d’oro per il numero di donazioni svolte nell’arco di quasi mezzo secolo. Ma era anche un amante della pesca, della sua piccola barca caricata sul tetto dell’auto, negli anni ’80 e ’90, prima di partire per le ferie, o in quell’altra, quella trainata sopra il carrello, attaccato alla macchina.
Sono molti i ricordi che mi legano a questa persona, padre di questo mio amico, che ha lasciato improvvisamente la moglie e il figlio.

Ero a casa sua, il giorno dell’attentato a Giovanni Paolo II, il 13 maggio 1981. Sì, mi ero recato per fare due chiacchere, come nostra abitudine quasi quotidiana, con Enrico e mentre guadavamo la Tv, apparve in sovraimpressione la notizia dell’attentato al Papa Polacco, con Fernando che rientrava proprio in quel momento, rimando per ore poi a commentare quanto avvenuto, in quanto erano iniziate le edizioni straordinarie dei telegiornali.

Ed ero sempre a casa sua, nel 1982, in occasione dei Mondiali spagnoli, vinti dall’Italia contro la Germania, dove guadammo la partita Brasile – Italia e, non ricordo con che ordine, anche quella Italia – Polonia. I suoi improperi contro i calciatori italiani quando sbagliavano, le “maledizioni bonarie” quegli “anatemi sportivi” legati al calcio che  possono uscire solo da un veneto d.o.c. erano musica per le orecchie degli astanti, essendo impegnati con l’udito ad ascoltare le parole del telecronista, Nando Martellini e le “sfuriate” di Fernando, con le prodezze degli  Azzurri che poi riuscirono a portarsi a casa la terza Coppa del Mondo. 

Fu in fatti in occasione della vittoria dell’Italia sul Brasile, ai Mondiali del 1982 che al termine del match, aprì la credenza, che si prese un sigaro cubano, accendendoselo,  fumandoselo, mezzo in salotto e l’altro mezzo sulla terrazza di casa, ebbro di gioia per la sconfitta dei brasiliani,: aveva gli occhi che gli brillavano di felicità, come quelli di un bambino, la notte di Natale, quando scarta i regali.

 E ricordando questa cosa, mi è venuto in mente un aneddoto, un racconto che mi fece al tempo, ossia di aver conosciuto in un bar, Gregorz Lato, un giocatore di calcio polacco, nome che a me francamente non diceva assolutamente nulla, ma per Fernando, appassionato, Milanista incallito e purosangue, tifoso ma non fanatico, sì.

 Era un piacere sentirlo “incazzato”, come solo lui sapeva esserlo, con il suo famoso e riconoscibilissimo “Boia can!”, esclamazione tipica dell’epoca, ormai in disuso, quando la sua squadra del cuore, non importa che fosse il Milan o quella dove faceva il dirigente, non girava come avrebbe desiderato.

Così com’era suo il sigaro che fumai la notte prima del mio intervento del dicembre 1994, sigaro che mi diede il figlio Enrico, sgraffignandolo dalla custodia – eravamo  praticamente dei “putei” entrambi, pochi giorni prima, in occasione di una visita che mi fece all’ospedale. Era il sigaro, uno dei sigari speciali di Fernando, quelli che teneva nella scatola di legno, dentro la credenza del salotto, appartenenti alla famosa scatola del Mundial 1982,  Quell’aroma, che mi ha impregnato le dita per ore quella notte, non l’ho dimenticato per anni.

Fernando non era il tipo di tante parole. Alle parole preferiva il fare, rispetto che al dire, ma erano sempre parole assestate nel modo giusto e lanciate, anche quando doveva darti una lavata di capo. Parole ben assetate. Parole che non facevano mai male, ma che sapevano colpirti nel segno.
Ormai sono anni che non lo vedevo, ma certi ricordi, così moltissimi altri che non starò qui a narrare, a scrivere e a descrivere, rimarranno dentro di me.

Il mio cordoglio e la mia vicinanza  va alla moglie, alla Zita, come si dice dalle mie parti, ad Enrico, quell’amico fraterno, come e più di un fratello, in moltissime occasioni della mia vita e gli sono vicino, pur nella distanza fisica. Così come mi sento vicino a sua moglie e a tutte quelle persone della famiglia Bettin che in questo momento piangono per la perdita di una persona amata, o di un amico stimato e apprezzato, per quello che ha saputo sempre essere: una persona semplice, dove la semplicità dell’essere, spesso alla fine rappresenta ed è il tutto.
Buon viaggio, Fernando!
Marco Bazzato
22.03.2017

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